Avrei potuto iniziare queste poche righe vantandomi di quanto siamo stati bravi, tutti insieme, a lavorare con la Dad – e già odio questa abbreviazione, come se la didattica a distanza fosse una nostra amica e la conoscessimo da sempre – avrei potuto autoincensarmi perché, per essere una scuola primaria, abbiamo fatto grandi cose fin da subito: ci siamo inventati un nuovo modo di fare lezione in tempi record, abbiamo allestito classi virtuali fin dai primi di marzo, stiamo lavorando alacremente da più di due mesi e, oltre alle lezioni “curriculari”, portiamo avanti i nostri progetti extra scolastici e facciamo riunioni di classe alla presenza di tutti i genitori, per tenerli costantemente aggiornati.

Un successo?

No. Stiamo solo facendo tutto quello che possiamo, con quello che abbiamo. Vorrei che fosse chiaro perché sono preoccupata e, prima di scrivere, ho letto molto, mi sono documentata e ho ascoltato più di un addetto ai lavori. Ho partecipato a tavole rotonde sull’argomento e qualcuno mi ha anche consigliato: “Bisogna dire che la didattica a distanza funziona e che va tutto bene!” Ma io non faccio politica, io sono solo una scuola primaria e ho tanti sogni perché lavoro con i bambini e il bello dei bambini è che possono ancora diventare tutto quello che vogliono. Per far sì che ciò accada, tuttavia, hanno bisogno di cure e relazioni che lo schermo di un pc non può dare.

Io sto solo facendo tutto quello che posso, con quello che ho. E questo mi riporta indietro nel tempo al Prof. Manzi e alle sue lezioni televisive che, negli anni sessanta del secolo scorso, riscossero un grande successo perché riuscirono ad arrivare ad una fascia di popolazione che non aveva, di fatto, avuto la possibilità di frequentare la scuola. Tempi, per fortuna, superati. Poi però accendo la TV e, sul canale Rai Scuola, campeggia la scritta #lascuolanonsiferma e, su Rai Gulp, al mattino, c’è “La banda dei fuoriclasse”, un altro programma studiato in collaborazione con il Miur, il cui presentatore si rivolge ai bambini dicendo “Facciamo scuola!” e “Prendete il quaderno!”, per poi alternare lezioni con maestri, filmati e cartoni animati “istruttivi”. Io prendo un lungo respiro e benedico il fatto che, a quell’ora, i miei alunni sono collegati con le loro vere maestre e spero che non pensino mai che la scuola sia questa, neppure al tempo del Covid.

Per decidere di aprire una scuola, occorre avere una buona dose di sana follia e, per fare l’insegnate, bisogna essere dei sognatori idealisti, bisogna saper davvero immaginare un mondo migliore. È per questo che non vi dirò mai che questa esperienza è stata un successo, che insieme abbiamo imparato un nuovo modo di fare scuola, anzi, “modalità innovative di apprendimento”, perché con voi ho stretto un patto di corresponsabilità, che esclude il fatto che vi racconti storie: non c’è scuola senza bambini, senza presenza.

In questi giorni, ho letto e sentito molte cose (compresa la possibilità di lezioni miste online/in presenza che neppure commento) e vorrei che la mia posizione fosse chiara in proposito: questa è una didattica dell’emergenza e occorre tornare al più presto nella aule, quelle vere. Che poi esse siano con banchi posti a due metri di distanza fra loro o fuori in cortile, non ha importanza. Ho scelto fin da subito questa politica: pochi bambini per classe.
Dispongo anche di un giardino e di un cortile e sono pronta a iniziare anche subito. Attuerò tutte le modifiche necessarie e i protocolli richiesti, pur di garantire ai miei alunni il loro inviolabile diritto all’istruzione, ad apprendere in un ambiente sereno, insieme ad una maestra e ai compagni di classe, perché il primo insegnamento che vorrei dare loro è quello di non accontentarsi della mediocrità, di non adagiarsi sul pressapochismo, di trovare il modo.

La scuola BEST Asti sta lavorando per voi, anche su questo.